Cari amici, in cammino e in ricerca vocazionale... il Signore vi dia pace.
Vi propongo oggi un bellissimo e provocante articolo "sulla vocazione", sulla "chiamata". E' di un sacerdote padovano, cappellano del carcere: don Marco Pozza.
Così scrive a conclusione della sua pagina: "l'unica vera ragione per dirsi uomini-chiamatiè sentirsi devastati da una voce che, più cerchi di ridurre al silenzio, più ti alza la voce: «Alzati, va' e... non temere!». Vocazione è rovesciare i verbi della grammatica quotidiana: «io non credo perché vedo, ma perché sono stato visto» (E. De Luca).
Si è dunque "chiamati" solo se precedentemente guardati e "visti" da un Altro, solo se "devastati" da una Voce insopprimibile e prepotente che ti dice: ...va, cammina, fidati, non temere..., io sono con te!
Vi benedico. Al Signore Gesù sempre la nostra lode.

Il motto della Giornata Mondiale delle Vocazioni di quest'anno è tutto qui: «Alzati, va' e... non temere!». Alzarsi è verbo di manovra, un'azione fastidiosa, il sospetto che la pacchia sia finita. Andare – declinato all'imperativo, la forma del comando – è un'indicazione di movimento: "Sbrigati, datti da fare, il mondo ti sta aspettando". "Non-temere"è augurio di partenza, condizione prima di arrivo: la paura, ad ogni stazione di partenza, è accovacciata alla porta. Quel non-temere è anticipo di compagnia: "Io sarò con te, ce la farai: stanne certo!" Il senso della chiamata è tutto qui: un preoccuparci che la nostra vita non sia una di quelle storie noiose che è difficile ascoltare, ma che possa essere la migliore delle storie possibili. C'è un'immagine d'insopportabile bellezza nel Vangelo di Giovanni: quando la leggo, mi ci leggo dentro. Parla di un incontro: quello tra il giovane Natanaele e Gesù. Natanaele, incuriosito dalle parole dell'amico Filippo, che gli accennava di Gesù, s'avvicina a Cristo. È ancora distante, quando Gesù, parlando a della gente, dice di lui: «Ecco un Israelita in cui non c'è falsità». Quel giovane è stupito, Gli rigira al volo lo stupore: «Come mi conosci?». Pensava di essere un estraneo, Gesù lo seduce con l'effetto-sorpresa: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico» (Gv 1,47-48) Stare sotto il fico è starsene per i fatti propri, a menare avanti la danza dei mestieri di quaggiù: il massimo della sorpresa è sapere che, mentre noi siamo indaffarati, qualcuno ci ha già messo nel mirino del suo sguardo. Quando ci accorgeremo, sarà troppo tardi: per qualcuno, sarà addirittura impossibile andarsene via da quegli occhi.
La storia, anche quella cristiana, è piena zeppa di chiese cadute in rovina: là dentro, certe domeniche, degli uomini hanno nutrito la pretesa di ridurre Dio solamente al rituale di un pane-secco: Lui, nel frattempo, camminava su strade di periferia a cercare-postini da arruolare per i suoi scopi divini. Millenni dopo – con tutta una storia ad accreditargli fiducia – l'uomo ancora s'ostina a trattare la vocazione come fosse un qualcosa che si possiede: "Entro in seminario perché sento la vocazione di diventare prete". Anche Cristo, dal canto suo, è ostinato: a far capire che l'unica vera ragione per dirsi uomini-chiamati è sentirsi devastati da una voce che, più cerchi di ridurre al silenzio, più ti alza la voce: «Alzati, va' e... non temere!». Vocazione è rovesciare i verbi della grammatica quotidiana: «io non credo perché vedo ma perché sono stato visto» (E. De Luca). Appunto.